mercoledì 7 dicembre 2011

SAMBABILA Piazzale Loreto, Milano, venerdì 18 luglio 2007, il giorno più caldo degli ultimi cent’anni: così l’hanno battezzato i giornalisti. Hans Spruck ha sentito la notizia questa mattina alla radio e in quel momento ha pensato alla solita sparata, perché ha buona memoria e quella frase l’ha sentita almeno dieci volte negli ultimi due anni. Però adesso, guardando il tabellone elettronico sopra il palazzo alla sua destra, non è più sicuro che sia un’esagerazione. I pixel rossi segnano tremolanti l’ora, 16:34, e la temperatura, 46 C. L’apparecchio non è impazzito, quei gradi Hans li sente tutti tra pelle e divisa: lavora come vigile, e si trova in uno dei peggiori posti sulla terra per uno che fa questa professione: verso di lui convergono cinque vialoni di milanesi incazzati che vogliono abbandonare la città. Il fine settimana è sempre così, ma questo è un giorno particolare: questo è il venerdì più caldo del secolo, e Hans ha visto fin dalle due del pomeriggio che la giornata sarebbe stata dura. I due colleghi che avrebbero dovuto affiancarlo non si sono visti, forse si sono persi anche loro nel traffico; sarebbero comunque stati di poco aiuto, pensa Hans, guardando i serpenti di lamiere arroventate che si perdono nella foschia in tutte le direzioni. Il suono ritmico dei clacson gli arriva addosso a ondate. D’un tratto Hans si sente stanco, molto stanco. Abbassa le braccia, la vista gli si annebbia, si siede sul sedile della sua Punto bianca; si rialza con lentezza, si toglie il cappello, si sfila la giacca, sale a quattro zampe sul cofano, poi sulla cappotta: lì si alza in piedi e comincia a ballare. Balla la samba. Calogero spegne il motore del camion e apre la portiera. Maledizione! Ci mancava che si rompesse l’aria condizionata, pensa. Quell’idiota del Mondonico proprio oggi doveva fissare il trasporto? Questa è l’ultima volta che mi faccio infinocchiare con un lavoro in centro a Milano di venerdì sera. Per delle statue, poi! Nelle ultime due ore ha fatto cinquecento metri e ormai non ha più speranze di arrivare a Bergamo in tempo per la consegna. Calogero scende dal camion e si appoggia con le spalle a un muro all’ombra. Il caldo non gli dà fastidio, non gliene ha mai dato, è cresciuto sotto il sole siciliano. L’umidità, quella sì gli da fastidio, quella l’ha trovata solo qui al nord. Si accende una sigaretta, guarda le facce nervose dei milanesi dietro i finestrini, si stira la schiena. Vede il vigile togliersi la giacca e salire sulla cappotta, segue i suoi ondeggiamenti, spalanca gli occhi per la sorpresa e la gioia: Calogero risale di corsa sul camion, accende l’impianto stereo da 1600 watt e fa partire a tutto volume la sua personale hit parade: se c’è una passione che Calogero ha nella vita, questa è la samba. “Puttana! Non sei altro che una puttana!” Fernanda ha la faccia rivolta contro il finestrino e gli urli di Giorgio non li sente nemmeno. Ha la testa altrove. Alle spiagge di Bahia, alle feste con i compagni di scuola, al carnevale. Ripensa a due anni fa e sente nostalgia, anche se ricorda benissimo che a quei tempi soffriva la fame. Non è cambiato molto da quel punto di vista: Fernanda fa la modella, e qualche volta soffre la fame anche adesso che in banca ha un conto che sfiora i duecentomila euro. Guarda una coppia di vucumprà sfidare le vampe di calore che salgono dall’asfalto rovente. Ancora sei mesi e lascio questo paese di merda, pensa Fernanda; e mando affanculo quel coglione di Giorgio che immagina che nel contratto di lavoro ci sia una postilla in cui c’è scritto che l’unico con cui posso andare a letto sia lui. “Cazzo! Ma mi ascolti? Se lo fai un’altra volta, la prossima sfilata la fai nei bordelli di Rio de Janeiro”, sbraita Giorgio. Fernanda vede con la coda dell’occhio un movimento davanti alla macchina. Fissa lo sguardo. “Ehi! Ma cosa fa quel vigile sulla cappotta della macchina?” “Ma che cazzo ne so? Sarà andato via di testa sotto il sole. Non devi più...” “Zitto! Ascolta! Questo è samba! Abbassa il finestrino!” “Col cazzo! Ci sono cinquanta gradi lì fuori” Fernanda non sente la fine della frase. Giorgio la guarda correre a zigzag tra le macchine in coda. Maria Figueira guarda fuori dalla finestra del soggiorno del suo appartamento al quindicesimo piano di via Padova la catena ininterrotta di macchine che convergono verso piazzale Loreto. Sta cercando un po’ d’ossigeno, ma fuori c’è un oceano d’aria rovente e nessun refolo di vento. Con questo caldo si sono squagliati anche i clienti: per un viado la stagione d’oro è l’inverno, a quaranta gradi s’ammosciano pure le passioni. Maria ha nostalgia del Brasile, vorrebbe tornare, i soldi ormai ci sono, ma ha rimandato i preparativi per il viaggio di anno in anno e, anche se non ha ancora avuto il coraggio di ammetterlo con se stessa il motivo è chiaro: l’unica cosa bella che le rimane dentro sono i ricordi della sua infanzia a Rio de Janeiro; ha paura che tornando perderebbe anche quelli: i paesaggi incantati della memoria sprofonderebbero negli abissi come il resto della sua vita. Maria allunga il collo fuori dal terrazzino per guardare il camionista impazzito che è uscito dall’ingorgo e sta arando quel che resta delle aiole di piazzale Loreto dopo quindici giorni d’afa infernale; sente la musica arrivare a cavallo di una bolla di calore, le si illuminano gli occhi, scende in strada facendo quindici rampe di scale a rotta di collo. Hans non si è mai sognato di fare un passo a ritmo di musica, nemmeno quando, da ragazzo, andava alla sagra di paese con il suo vestito tirolese, ma chi lo vede in questo momento pensa che non abbia fatto altro in vita sua che ballare la samba, i suoi movimenti sono perfetti: compressione ed estensione di ginocchia e caviglie, con il bacino ondeggiante, poi tre passetti muovendo il corpo in direzione opposta ai piedi. Scivola leggero sul pianale del camion, sfiora appena i due cavalli di marmo, si stringe a una modella anoressica e a un viado ossigenato spuntati da chissà dove. Il suo ultimo vago ricordo, prima di cominciare a ballare, è che stava facendo qualcosa in una piazza di Milano. Ma deve essere stato qualche giorno fa. Calogero si sporge dal finestrino, saluta la gente attorno, il camion si fa largo quasi per magia nel traffico di corso Buenos Aires, una fiumana di gente lo segue a ritmo di samba serpeggiando tra le macchine spente. Hans fa ondeggiare le braccia ritmicamente come quando dirige il traffico, sulle guance, tra le gocce di sudore, c’è nascosta qualche lacrima, non saprebbe dire se di felicità o tristezza: nel giorno più caldo del secolo tutto si confonde, anche le emozioni. La notizia fu in prima pagina su tutti i giornali per parecchie settimane: miracolo a Milano, ballo di calore, la madonnina balla la samba, samboduomo. Ci furono dirette TV sui canali nazionali, dibattiti fiume nei principali talk show, spiegamento in forze degli psicologi di grido, una nota del Vaticano sulla crisi della famiglia. Nessuno riuscì a spiegare in maniera logica come mezzo milione di milanesi avessero deciso di radunarsi attorno a piazza San Babila per ballare la samba: per due giorni non fecero altro, si muovevano come in trance, con temperature che non scendevano mai sotto i trenta gradi, nemmeno di notte. Domenica 20 luglio, verso le sette di sera, la canicola fu spazzata via da un temporale formidabile. Nel giro di qualche minuto sparirono tutti. Il lunedì successivo Milano era la stessa di sempre, tutti dimenticarono il momento di follia collettiva e tornarono al tran tran quotidiano. Tutti a parte Hans, Maria, Fernanda e Calogero: loro sono in Brasile, hanno fondato una delle escolas de samba più frequentate dagli stranieri, in particolare ci passano tutti quei milanesi che quel venerdì di tre anni fa erano già nelle seconde case, a Courmayeur o a Santa Margherita, e quelli che quel giorno non erano ancora riusciti a fuggire dalla città e si erano barricati dentro gli appartamenti, temendo che fuori ci fosse una sommossa. La scuola è un po’ fuori Rio de Janeiro, su una collinetta brulla. Sopra l’arco d’ingresso c’è una madonnina dorata, alta mezzo metro, sotto la statua un’insegna lampeggiante: Escola Sambabila.

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